Sono abituata ad andare a trovare mia nonna in casa di
riposo da alcuni anni, ormai. Ma quel giorno è stato diverso. La persona che ho visto,
con cui ho parlato, non era più mia nonna Rita. Quel giorno per la prima volta, non ho
riconosciuto quegli occhi vispi, un po’ inquisitori, sempre pronti a qualche
commento “hai preso peso? Hai perso troppo peso?”, quei commenti che mi hanno
sempre dato fastidio detti da chiunque, tranne che da lei. Perché ormai con la
nonna era una causa persa, è riuscita a dirmi anche che sembravo ingrassata, ad
un mese dal parto. Ma lì, quel giorno no. Avevo davanti qualcuno che si perdeva nei
suoi discorsi, che non sapeva bene che ore fossero, che mi guardava quando
parlavo, ma in realtà aveva lo sguardo altrove. È stata durissima, passare
dalla nonna solita, con i suoi commenti, sempre pronta a parlarti di un nuovo
acciacco, male qui, male là, a questa nonna, che stentavo a riconoscere. Ho
trattenuto quanto più possibile, ingoiando ogni magone che veniva su in quel
momento, ho sorriso, ho cercato di farla ridere, ho anche guardato il rosario
commentando quanto fosse bellina la città di Lourdes. Poi sono arrivata a casa,
e sono scoppiata. “Dov’è finita la nonna?” continuavo a ripetere a Luca. Ma chi
non l’ha conosciuta davvero prima, non può capire di che cosa io parlassi.
La nonna di cui parlo, ha sempre avuto una lucidità, ben
oltre i 90 anni, che molti trentenni se la sognano.
Nonna Rita per me è sempre stata un’istituzione, il vero
pilastro della famiglia, per me, è sempre stata lei. Lei che non te le mandava
a dire, che i sassolini nella scarpa se li toglieva tutti, ed è facile che te
li lanciasse pure addosso. Ho sempre sentito di essere profondamente in
sintonia con lei, perché caratterialmente abbiamo molto in comune (e su questo
mio papà risponderebbe “uh signur”).
Nonna Rita, che si è sposata giovanissima, prima ancora dei
vent’anni, mi ha sempre ripetuto “non ti sposare mai, rimani single, non
rendere conto a nessuno” e allo stesso tempo “ma non fare quelle robe lì di
andare a convivere eh, quelle non si fanno”, salvo poi accettare che due suoi
nipoti non si siano ancora sposati e abbiano messo comunque su famiglia.
Nonna Rita era così orgogliosa dei suoi cinque bis-nipoti,
tutti maschi, che tutta la casa di riposo sapeva di loro. Quando andavo a
trovarla, le infermiere e le oss mi chiedevano sempre di quale bimbo io fossi
la mamma. Tutte conoscevano Paride, pur avendolo magari visto solo di sfuggita
un paio di volte all’esterno, e ogni volta mi sentivo dire quanto la nonna
parlasse di lui con gli occhi piedi d’amore. E com’era entusiasta di avere
finalmente un altro nipote, oltre a Dario, del segno dei pesci, proprio come
lei.
Nonna Rita, quando abitava a casa sua, si faceva il
bicchierino di Sambuca prima di andare a dormire. La Regina il gin, e la nonna
la sambuca, invecchiare con stile, signori miei.
Nonna Rita ha vissuto la guerra, mi raccontava di quando
portava le provviste nei boschi ai partigiani, mi raccontava di quando
Mussolini è stato a Volpiano, e di quanto li odiasse tutti “quelli là”.
Nonna Rita non ha mai smesso di dirmi che dovevo studiare,
raccontandomi con tristezza di quanto a lei piacesse farlo, di quanto era brava
a scuola ma, ahimè, erano altri tempi, c’era bisogno di lavorare. Ogni volta
che andavo a trovarla mi chiedeva se stessi studiando, come andavano gli esami,
quanto avessi preso e mi ripeteva da capo “studia tu che sei tanto brava, che
io non ho potuto”.
Nonna Rita non era solo tra le mie prime fan dei successi
scolastici/universitari, ma era anche la mia fan numero uno quando cantavo.
Ricordo ancora, e ricorderò per sempre, i suoi occhi lucidi l’ultima volta che
è venuta a vedermi cantare al “musical” della Via Crucis, venendomi a salutare
mi disse che ogni volta che canto la faccio emozionare al punto di commuoversi.
Ecco, per me questo vale come se Beyoncé mi avesse detto che canto meglio di
lei, non so se mi spiego.
Nonna Rita, se aveva qualcosa da dirti su un amico/a o un
fidanzato che non le piacevano, non si faceva mica problemi a dirtelo, “hai
fatto bene a lasciarlo, ti stavi trasformando in una persona che non aveva
niente a che vedere con te”, forse le parole più sagge che mi abbia mai detto.
Nonna Rita, quando è mancato nonno Felice, e io ero
distrutta dal dolore e dal fatto che per i suoi ultimi mesi io ero a Londra, così
lontana dalla gravità della situazione, e non potevo smettere di piangere, mi
disse “senti, ora devi fare come gli Anselmo, non come i Contratto, piangi,
sfogati, butta tutto fuori finché sei a casa. Poi asciugati le lacrime ed esci
a testa alta, e fai vedere al mondo quello che sei”
Nonna Rita non ha saputo del linfoma subito. Ho cercato di
tutelarla dal dolore e dalle preoccupazioni di una cosa così grande, proprio in
un periodo in cui nonno Gino stava male. Quando hanno iniziato a cadermi i
capelli, quando ero completamente pelata, non sono andata a trovarla per un
po’. Solo quando ho avuto la certezza che la tac era pulita, dopo la terza
chemio, e che i capelli mi stavano rispuntando, sono andata a trovarla a casa,
raccontandole tutto, e per lo più assicurandole che le cose stavano andando
meglio, mostrandole quei quattro peli spelacchiati in testa. E com’è finita?
Che lei piangeva preoccupata, e io, ancora malaticcia, la rassicuravo.
Questa nonna, di cui non smetterei di parlare, raccontando
fatti ed aneddoti divertenti, non era più lì. Sembra strano scrivere queste
cose, parlando al passato, mentre lei è ancora su questa terra. Ma vederla così
assente, persa in un mondo un po’ suo, dopo che per 33 anni l’ho sempre vista
lucida, sul pezzo che raga, forse non è chiaro dai miei racconti, ma sul pezzo
davvero, è stato per me come accettare il fatto che stava davvero andando via.
Ho grossi problemi con l’accettazione della morte, la mia psicologa ci si paga
le vacanze alle Maldive ogni anno con i miei traumi legati a questo discorso, e
affrontare questi temi porta con sé un bagaglio pesante di assenze, vuoti
incolmabili che si vengono a creare nella quotidianità e silenzi pesantissimi
che siedono su poltrone vuote nei giorni di festa. Scrivere, un pochino, aiuta.
Ricordare i momenti belli, lasciarli per sempre impressi nero su bianco, è la
migliore terapia. Permette a chi non c’è più di restare ancora un pochino, di
rivivere nei sorrisi di chi leggerà, magari di farsi conoscere da chi non ha avuto
modo o tempo di passare dei momenti con quella persona.
Sono passati i giorni, da quella visita particolarmente
difficile. Quelle successive non sono andate meglio, non so se la nonna mi
capisse, mi ascoltasse, ogni tanto non ero nemmeno sicura che mi sentisse bene.
Ma io andavo, chiacchieravo, le tenevo la mano, ogni tanto me la stringeva
quando le raccontavo dei bimbi, ogni tanto mi sorrideva e mi rispondeva ancora
con lucidità, anche se il più delle volte si perdeva in un labirinto di
antidolorifici che non le permettevano di finire una frase. Ma non è questo il
modo in cui voglio ricordare la nonna. Sarebbe come guardare un paesaggio
bellissimo da un vetro offuscato, un po’ annebbiato, che non ti permette di
cogliere tutte quelle sfumature di colore e quei contorni nitidi, magari un po’
imperfetti, che caratterizzano una quella piccola certezza lì, che ti ha
accompagnato per tutta la vita.
Ogni volta che la salutavo, lei mi diceva “torni a
trovarmi?” – “ma certo nonna che torno, ci vediamo tra qualche giorno” e
guardavo quel sorriso mentre andavo via, ogni volta col dolore addosso,
cercando di non pensare, alla prossima volta, e nella totale incertezza che ci
sarà una prossima volta.
Questo scritto è frutto di diversi gironi, diverse visite.
L’ultima, ieri. Le ho sussurrato all’orecchio “hai visto che sono tornata come
ti avevo promesso?”, stringendole la mano, come la volta prima. Solo che, a
differenza della volta passata, non ha potuto stringermela a sua volta.
La nonna non c’è più. I miei ricordi sono vividi e pieni di
cose, racconti e volti, compreso quando aveva indosso quella terribile
pelliccia vera che si era comprata con tanto orgoglio. La nonna era tutto
questo, e tanto altro ancora, e Paride conoscerà questa nonna bis che era tanto
innamorata di lui attraverso le foto e le storie che portiamo nel cuore.